In epoca romana Verona fu una delle città più fiorenti del Norditalia e, in seguito alle invasioni barbariche, dal V secolo d.c. ospitò re ostrogoti, longobardi e franchi.
Durante il Sacro Romano Impero il potere comitale non fu concesso ai vescovi, mentre già dal X secolo Milone di San Bonifacio, insignito del titolo di conte, svolgeva la funzione di vicario imperiale.
Nei primi anni del 1100 alcune potenti famiglie (milites), furono ammesse a partecipare al consiglio cittadino presieduto dal conte, accanto al vescovo, al Capitolo della cattedrale, agli abati delle abbazie più importanti. Anche artigiani e commercianti (negotiatiores) acquisirono una tale importanza da poter richiedere per i loro rappresentanti un posto nel consiglio cittadino, così che si ebbe l’evoluzione del governo della città verso la costituzione del Comune. Le funzioni del conte, vicario imperiale, dunque non scomparirono, ma vennero distribuite fra i membri di un’assemblea ancora solidale al vincolo feudale ed espressione di vari interessi cittadini. I primi due consoli furono eletti nel 1136.
La vita del Comune però fu presto insanguinata dalle discordie fra milites, tendenzialmente filo-imperiali, e negotitiores, anti-imperiali. Dal 1151 prevalse il partito imperiale e comitale e la città si schierò dalla parte del Barbarossa; il consolato venne abolito e sostituito da un rettore unico, fedele al conte, che preluderà alla seguente figura del podestà, ma affiancato dai consules negotiatiorum, specie di “tribuni della plebe”.
Dal 1164 il potere passò alla fazione anti-imperiale e Verona partecipò alla Lega della Marca veronese, che nel 1167 si unì alla Lega lombarda contro il Barbarossa.
Nel 1169 la città ebbe il primo podestà e la carica venne affidata a un San Bonifacio, che nel frattempo si era schierato su posizioni anti-imperiali. Dopo la vittoria di Legnano e la pace di Costanza ci fu una continua alternanza tra regime consolare e podestarile, a seconda delle parti al potere: imperiali o comunali, ghibellini o guelfi.
Nel 1196 si stabilizzarono le istituzioni podestarili, con il definitivo ricorso a un incaricato proveniente da un’altra città, mantenuto in carica per un anno. Durante questo periodo la città affrontò numerosi scontri, sia esterni contro Mantova e Ferrara, che interni, tra le principali famiglie. Nel 1232 la famiglia Monticoli, schierata con l’imperatore Federico II e aiutata da Ezzelino da Romano, riuscì a imporre la sua autorità e a staccare la città dalla Lega lombarda.
Ezzelino da Romano, feudatario del Trevigiano, era in stretti rapporti con l’imperatore ed era il capo riconosciuto dei ghibellini italiani. Nel momento in cui Federico II entrò in contrasto con i Comuni italiani, si impadronì di Verona, oltre che di Vicenza e Padova. Il Comune veronese vide avvicendarsi podestà e capitani del popolo, ma riconobbe in Ezzelino il capo dai pieni poteri. Egli, “il secondo in Italia dopo l’imperatore”, superiore a tutti i vicari imperiali cittadini, per oltre un ventennio fu padrone di fatto di Verona, divenne il più potente signore del Veneto e costrinse le altre città, subordinate a Verona, a contribuire con truppe e denaro al mantenimento di una confederazione comprendente la Marca veronese e quella trevigiana.
Non fu però in grado di portare a termine il suo disegno politico-militare che prevedeva la conquista di tutto il Veneto, a esclusione dei domini veneziani, anche perché il capovolgimento di fronte che portò Verona nell’orbita imperiale non fu visto di buon occhio dalle Corporazioni cittadine, che non amavano né l’imperatore né i feudatari, nel frattempo tornati in città.
Quando Federico II morì, nel 1250, il mandato che dava il potere a Ezzelino venne a cadere e da allora in poi egli si fece interprete di una politica di totale autonomia, che non prevedeva alcun atto di sottomissione verso i nuovi imperatori; dal 1252 al 1259 liquidò quanto rimaneva dell’esperienza comunale.
Infine, nella battaglia di Cassano d’Adda del 1259, che concludeva la crociata bandita dal Papato contro colui che veniva definito “anticristo”, Ezzelino venne ucciso e, in seguito ai disordini scoppiati in città, Mastino della Scala, commerciante e proveniente dalla nuova piccola nobiltà, venne nominato podestà e successivamente capitano del popolo a vita.
Egli dovette affrontare l’aggressività delle grandi famiglie guelfe, desiderose di riprendere il loro ruolo politico ma osteggiate dalle associazioni delle Arti, preoccupate di un possibile ritorno a una situazione di conflittualità interna.
Nel 1277 Mastino venne ucciso in una congiura e l’assemblea cittadina, con voto unanime, elesse capitano del popolo a vita il fratello Alberto, che trasformò ben presto il capitanato comunale in Signoria vera e propria e iniziò il rinnovamento edilizio della città, proseguito dai suoi eredi.
Nel 1308 Alboino Della Scala chiamò accanto a sé colui che sarebbe stato il suo successore, il fratello Can Francesco, conosciuto come Cangrande; nel 1311 i due ricevettero la nomina a vicari imperiali.
Soprattutto dopo la morte di Alboino, Cangrande accelerò l’espansione dei domini della città. Strappò Vicenza alla rivale Padova, quindi ottenne la carica di capitano della lega ghibellina, che riuniva numerose città fedeli all’imperatore. Verona divenne pertanto una città cosmopolita, aperta agli ospiti più illustri, tra i quali Dante Alighieri.
Favorito il matrimonio del nipote con la figlia di Marsilio da Carrara, signore di Padova, divenne padrone anche di quella città e in seguito la sua politica di occupazione dell’intero Veneto fu confermata con la nomina a signore di Treviso. Ma quando l’avanzata della Signoria sembrava inarrestabile, Cangrande morì improvvisamente, all’età di soli 38 anni.
L’ulteriore espansione territoriale intrapresa da Mastino II favorì la reazione di Venezia e Firenze, che si allearono contro gli Scaligeri: Verona fu costretta a scendere a patti e nel 1339 gli Scaligeri dovettero accontentarsi dei domini su Vicenza, Parma e Lucca, ben presto ridotti alla sola Vicenza. Il nuovo signore della città, Cangrande II, soprannominato Canrabbioso, non fu all’altezza dei suoi predecessori e per giunta dovette guardarsi da congiure interne ed esterne alla città. Si risolse ad abitare nella fortezza di Castelvecchio che egli stesso aveva fatto costruire, ma fu ucciso dal fratello Cansignorio, che gli successe ala guida della Signoria e si dedicò soprattutto all’abbellimento della città e alla realizzazione di opere di pubblica utilità.
Dopo la sua morte, a cui seguì un altro fratricidio, fuggito l’ultimo signore scaligero la città fu assorbita nel 1387 dalla Signoria viscontea e nel 1405 fu assoggettata da Venezia.