Nonostante sia la fantasia collettiva, sia la rievocazione storica si soffermi a guardare principalmente la spada, quelle che probabilmente erano più frequentemente impugnate nei campi di battaglia medievale erano armi in asta; facili ed economiche da costruire, utilizzabili da chiunque con poco addestramento (derivando spesso da attrezzi agricoli), utili nell’uso in formazione, ed estremamente potenti. Purtroppo, alcuni fattori rendono problematica la ricerca storica su queste armi, in quanto il manico in legno le rende deperibili, non erano considerate armi nobili e cavalleresche come la spada – e dunque raramente conservate, e non erano generalmente considerate armi da duello, da cui la scarsità di trattati sull’argomento.
Nonostante questo, abbiamo molteplici riferimenti al loro utilizzo sin da i tempi più antichi; certamente ‘aumento della forza di impatto, o la possibilità di tenere a distanza l’avversario che derivano da un’asta lunga non erano caratteristiche sconosciute fin dai tempi pre-medioevali. Se vogliamo infatti fare una divisione arbitraria delle armi in asta in tre categorie, e cioè taglio punta e botta, possiamo trovare antenati già nei secoli avanti Cristo, rispettivamente nell’ascia lunga, sicuramente utilizzata da vichinghi, celti e germani, nella picca, di cui ricordiamo la Sarissa macedone già nel quarto secolo AC, e, volendo esagerare, lo stesso bastone lungo o clava, il cui utilizzo è immemore.
Proseguendo nei secoli, questa divisione – del tutto arbitraria come già detto – si viene più spesso a perdere, in quanto nascono molte armi in asta che includono due o tre di queste caratteristiche, unite eventualmente a una quarta, l’aggancio, una specializzazione di una lama concava o di una punta trasversale ricurva, destinata perlopiù a disabilitare i cavalli o disarcionare i cavalieri.
Tra le decine e decine di armi in asta di nome differente, è mio interesse soffermarmi su tre in particolare, l’alabarda, l’azza e la picca.
L’ALABARDA
E’ praticamete impossibile parlare delle armi in asta senza spendere alcune parole sull’alabarda.
E’ famosa per essere stata scelta, a causa dell’efficacia, come arma nazionale dagli Svizzeri (nel 1386 a seguito della battaglia di Sempach), e fra tutte, è quella che più si è evoluta e raffinata negli anni, in parte rappresentando la base da cui si sono specializzate altre armi, in parte rendendone obsolete altre ricoprendone il ruolo.
La nascita dell’alabarda è più antica di quello che si possa inizialmente pensare; nasce infatti quasi sicuramente come figlia diretta dell’ascia, con una principale differenza: la lama è fissata all’asta in due punti invece di uno, permettendo di avere una lama più grande e più pesante.
Possiamo trovare riferimenti all’alabarda in testi che risalgono al dodicesimo secolo, mentre l’esemplare più antico rimanente è del 1315. Già in questo esemplare, questa possibilità di allungare la lama era diventata occasione di creare una punta parallela all’asta, utilizzabile per l’affondo.
Pochi anni dopo si trovano i primi riferimenti al becco, una punta opposta alla lama perpendicolare all’asta, spesso forgiata dall’occhiello superiore, ma delle volte anche con un suo occhiello a parte posto tra i due della lama principale.
Proseguendo negli anni, queste caratteristiche rimarranno perlopiù inalterate, mentre ci saranno continui aggiustamenti nella forma della lama – che si ingrandirà, rimpicciolirà, diverrà obliqua rispetto all’asta, alternativamente, concava e convessa, dell’angolo del becco, della lunghezza della punta, e del tipo di aggancio tra testa e asta.
L’AZZA
Voglio con questo nome indicare in realtà tutta una serie di sottocategorie di armi in asta, tra le quali la nomenclatura e le differenze sono spesso nebulose.
Visivamente, quella che viene chiamata “Azza” da Fiore de Liberi nel Floss Duellatorum agli inizi del quindicesimo, cioè un’arma con una punta a becco ricurvo da un lato, e un qualche tipo di testa di martelo dall’altra, è praticamente identica a quello che viene chiamato “Martello di Lucerne” (così chiamato perchè era l’arma preferita della città di Lucerne) o “bec de faucon”, ma che viene spesso identificato con “pole axe”, “polaxe”, “pollaxe” (teoricamente, il più corretto sarebbe pollaxe, dove poll sta per “testa”) “hache” e “axst”, definizioni che identificano anche un tipo d’arma in cui vi è una testa d’ascia al posto del becco.
Concentrandosi principalmente sulla versione con il becco, quest’arma ha come particolarità il fatto di essere praticamente l’ unica arma in asta ad esserea abitualmente utilizzata nei tornei, e per questo motivo, praticamente l’unica ad apparire nei trattati di scherma e ad avere un trattato a se specifico, “Le Jeu de la Hache”.
Questo trattato, la cui datazione esatta è ignota, ma si presume del quindicesimo secolo, è ovviamente fatto per il duello in armatura (viene specificato anche che generalmente venivano utilizzate “hache” autentiche, e non versioni smussate da torneo come nel caso di altre armi, ma il combattimento si svolgeva generalmente in armatura), ed ha la classica incompletezza e generalità dei trattati di scherma, presumibilmente non essendo considerato sostituto dell’allenamento con un istruttore esperto.
Altrettanto presumibilmente, l’uso fatto dell’azza nei tornei era molto diverso da quello fatto sul campo di battaglia – di cui abbiamo riferimenti riguardo alla letalità, in quanto, vuoi per mantenere il combattimento non letale, vuoi perchè, come dice il trattato
… non in modo che, se il colpo dovesse mancare, l’azza passi oltre a lui, poichè sarebbe pericoloso”, tutti i colpi sono portati con il pomolo (da notare che esistono versioni con una punta ad estendersi dal pomolo, che non vengono trattati nel manuale), con la daga di testa, o sono agganci fatti col becco mirati a far cadere l’avversario.
Interessante inoltre che che la posizione di guardia considerata “da esperti” nel Jeu fosse probabilmente con il pomolo avanzato e l’azza in alto, posizione che si può pensare potesse essere utile anche sul campo di battaglia per l’ ottima difesa e per la possibilità di portare un devastante fendente a lunga distanza.
LA PICCA
La picca merita una menzione a parte, se non altro per un motivo: è probabilmente l’arma lunga che è rimasta per più tempo sul campo di battaglia.
Come già è stato detto, possiamo far risalire la sua creazione alla Sarissa degli Hopliti macedoni, quattro secoli avanti Cristo, ed è rimasta in uso per buona parte del diciasettesimo secolo – con riapparizioni in combattimento che si spingono fino agli inizi del diciannovesimo. Una delle più semplici delle armi in asta, è composta principalmente da un lungo manico di legno (poteva arrivare fino ai sei metri) con una punta acuminata in fondo.
Questa forma ha subito pochissime variazioni nei suoi più di venti secoli di utilizzo, cambiando principalmente la sua lunghezza e la forma della punta, più o meno acuminata, ed eventualmente con l’ aggiunta di fermi laterali per diminuire la probabilità rimanesse conficcata.
E’ un’arma principalmente difensiva, la cui efficacia è direttamente proporzionale al numero e alla chiusura dei ranghi della formazione che lo utilizza.
E’ dunque, ancora di più delle altre armi in asta, un’arma da utilizzare in una formazione ben addestrata, e che perlopiù non necessita di armature.
Nemesi della cavalleria, lo scopo principale della sua lunghezza nel medioevo è proprio quello di colpire prima delle lance dei cavalieri, e proprio questa sarà la funzione che ne conserverà il posto sul campo di battaglia; a protezione dei moschettieri, che dopo aver sparato erano completamente inermi a una carica di cavalleria, perlomeno fino all’avvento della baionetta, che in un campo di battaglia dove lance e armature erano già scomparse da tempo bastava a dare protezione a chi usava armi da fuoco.
Ricerca a cura di Giovanni Gelio
Fonti
- Notes on “Le Jeu de la Hache” di Sydney Anglo
- The Halberd and other european polearms di George A. Snook
- The Swiss at War 1300-1500 di Douglas Miller e G.A. Embleton
- Flos Duelatorum di Fiore de Liberi
- Fechtbuch di HansTalhoffer
- Le Jeu de la Hache, autore sconosciuto
- Collectanea di Pietro Monte