La successione dei tempi, il divenire è, allo stesso titolo dell’apprendimento dello spazio, un problema fondamentale di cui l’uomo ha avuto coscienza al più presto e su cui i filosofi o i teologi hanno prima esercitato il loro ingegno. A livello di vita quotidiana, la stragrande maggioranza del popolo occidentale ha continuato ad avere il senso del tempo come, prima di lui, l’Antichità greco-romana e come, fino a metà del secolo XX, buona parte delle campagne europee.
E’ il sole che imprime al tempo medievale il suo ritmo: tempo breve, con l’alternarsi del giorno e della notte; tempo lungo, col ritmo ciclico delle stagioni e degli anni. Questa successione immutabile e perfetta, un frammento d’eternità, appartiene a Dio, dunque alla Chiesa. Le feste liturgiche costellano i grandi avvenimenti astronomici dell’annata, le preghiere seguono il ritmo del giorno e della notte e le campane della densa rete di chiese che copre l’Occidente segnalano ai fedeli le principali suddivisioni della giornata tra due angelus. Si continua a contare le ore secondo l’abitudine romana: 12 ore di giorno e 12 ore di notte. Mezzogiorno corona dunque la sesta ora (sesta) del giorno, di cui la prima (prima) è annunciata dal sorgere del sole e la dodicesima (vespero) compiuta dall’arrivo della notte. Terza (terza ora) e nona (nona ora) sono pressappoco al centro di due mezze giornate.
Bisogna osservare che queste ore del giorno o della notte erano molto approssimative, e comunque diverse dalle nostre ore di 60 minuti, per l’eccellente ragione che solo gli equinozi comportavano dei giorni uguali alle notti, ossia 12 ore di giorno e 12 ore di notte pari esattamente a 24 delle nostre ore. Tra equinozio e solstizio le ore aumentavano o diminuivano; erano approssimativamente uguali tra loro solo nel corso di uno stesso giorno.
Per la notte o per i giorni senza sole bisognava adottare un sistema diverso; molto rari erano coloro che potevano, molto approssimativamente, conteggiare le ore in base alla posizione delle stelle e dei segni dello zodiaco, che mutava, non solo di ora in ora, ma anche di notte in notte. Ci si serviva allora di candele che bruciavano per 3 o 4 ore ciascuna, delle clessidre a sabbia o delle clessidre ad acqua per la suddivisioni delle ore notturne. Ma la stragrande maggioranza della popolazione non se ne curava; viveva nel tempo della Chiesa, il cui ritmo era segnato dalle funzioni e dalle grandi feste liturgiche. Questo tempo era del pari il tempo dei signori e dei potenti, ritmato dagl’introiti feudali e dalla partenza per la guerra. Coloro che lo subivano non avevano nessuna reale preoccupazione di esattezza, nessuna fretta, nessuna inquietudine; si è potuto parlare della grande indifferenza al tempo delle masse rurali che non sentivano il bisogno di conoscere la propria età, di stabilire il numero degli anni trascorsi, di determinare un’ora esatta o di conformarsi a un preciso orario. Esistono, senz’altro, in questa società rurale, dei punti di riferimento, ma non sono più i nostri.
La vita quotidiana del contadino si svolge così al ritmo del sole e delle stagioni, la giornata di lavoro dura dall’alba al tramonto, è dunque molto più corta d’inverno, stagione in cui d’altronde i campi richiedono meno lavoro; la “veglia” che segue alla giornata di lavoro, per la medesima ragione, esiste solo a quest’epoca; ma non bisogna esagerarsene la durata, che è notevole solo quando gli uomini tagliano la canapa che le loro donne filano, perché richiede un fuoco prolungato, fonte, a un tempo, di calore e di luce. La tentazione di andarsene al letto, dove paglia e coperte isolano meglio dal freddo, la rende sensibilmente più corta. Le veglie collettive possono durare tutta la notte, ma la Chiesa le vede di mal occhio e pretende che incitino alla licenza.
Abbiamo numerose rappresentazioni figurate che ci descrivono la vita del contadino nel corso dei mesi grazie ai calendari che ci sono stati tramandati; sotto forma di miniature, medaglioni scolpiti, di affreschi, di vetrate; che ci suggeriscono un’idea delle attività contadine essenziali nel corso dell’anno.
E’così che dicembre viene rappresentato come il mese in cui si ammazza il maiale. Quasi tutti i calendari noti rappresentano una scena analoga, dedicata a questo spettacolo, così come la caccia del cinghiale selvatico con i cani.
Gennaio, simboleggiato da Giano bifronte, seduto a una tavola ben fornita, si fa servire da due domestici; evocazione del anno che finisce e l’anno che comincia. In altre occasioni ambientato all’interno di un castello, raffigura il giorno in cui era consuetudine scambiarsi doni.
Questa rappresentazione di festività raggruppate intorno all’anno nuovo è spesso giustapposta a quella attribuita qui al febbraio, o da essa sostituita: un uomo incappucciato che, seduto, attizza il suo fuoco a cui tenta di riscaldare le mani e i piedi nudi. Nella miniatura dei fratelli Limbourg “Très riches heures du Duc de Berry” si immortala a perfezione un giorno tipico di clima rigido, da un cielo cupo e coperto di nubi; In lontananza, un contadino porta con sé il mulo carico delle merci che intende vendere al mercato. Nelle vicinanze del bosco un giovane taglia i rami, una figura infreddolita si copre con un mantello di lana affrettandosi nel tornare a casa, dove tre contadini si riscaldano col fuoco che arde nel camino. L’inverno è evidentemente la stagione morta in cui il contadino liquida gli strascichi dell’annata precedente senza ancora preparare l’anno che viene.
In compenso marzo vede zappare il terreno: aratura in profondità, grosse zolle rivoltate ed aerate, la potatura e la concimazione delle viti, la semina dei cereali. Le scene sono generalmente dominate dalle tinte cupe dell’inverno, con la natura in riposo e le alberi spogliati.
Aprile evoca, un falcone sul pugno, gli inizi della caccia e le nobili occupazioni, talvolta segnalate in marzo; aprile ricorda allora la potature delle piante, l’uscita del bestiame nato d’inverno o l’utilizzazione del latte per produrre burro o formaggio. è il momento dei primi tributi feudali, dopo il Natale, a favore del signore che si reca in campagna. Tema ricorrente del mese è quello del fidanzamento, con un gruppo di aristocratici tra i quali si riconosce una coppia intenta a scambiarsi gli anelli. Il tema amoroso si addice bene al mese primaverile, con gli alberi in germoglio sullo sfondo.
Maggio rappresenta un vecchio seduto in un frutteto in fiore, che richiama la dolcezza della stagione e l’ultimo respiro prima dei lavori pesanti; gli ozi o i piaceri del nobile durante questo mese possono essere descritti su altri calendari con la processione di giovani mobili a cavallo che indossano corone di foglie e fiori mentre sono accompagnati dagli araldi a traverso il bosco.
Per il mese di Giugno è raffigurata la fienagione, attività tipica del mese. Gli uomini in abiti leggeri e discinti, che denotano la venuta del caldo estivo, falciano l’erba che le donne rastrellano e accumulano in mucchi regolari.
Luglio presenta le scene della tosatura delle pecore e della mietitura del grano, il contadino col suo piccolo falcetto, taglia le spighe a mezza altezza lasciando le altre stoppie che serviranno al pascolo del gregge; i covoni si accumulano dietro a lui.
Agosto batte il grano con il correggiato sull’aia; talvolta spula, spargendo la pula al vento, mentre il grano più pesante cade in un piccolo tino. Il mese di Agosto e tradizionalmente descritto con la trebbiatura del frumento, ma in occasioni viene raffigurato da la partenza per la caccia in primo piano.
Settembre mostra la vendemmia, i contadini in primo piano sono intenti a cogliere l’uva, che viene poi messa in gerle che sono trasportate sui carri o dalle some degli asini.
Ottobre vede la semina dei campi, l’uomo a cavallo che fa i solchi passando lo strumento apposito, un altro che sparge le sementi, che vengono beccate da gli uccelli.
Il mese di novembre è, per i contadini, l’epoca della raccolta delle ghiande. Queste ghiande servivano all’alimentazione dei maiali, ingrassati prima della macellazione generale del Natale. La foresta di querce viene bacchiata con i bastoni per aumentare la razione delle bestie.
Questa annata contadina, dedicata al lavoro, conosce per fortuna qualche respiro e un certo numero di festività vengono ad interrompere l’austera fatica quotidiana. Delle feste scandiscono il calendario cristiano e coincidono con le grandi date astronomiche, la cui incidenza agisce direttamente sulle attività rurali: Natale e il solstizio d’inverno, Pasqua e l’equinozio di primavera , San Giovanni Batista e il solstizio d’estate.
L’OROLOGIO MECCANICO
Solo alla fine del Medioevo cominciò a verificarsi, nella città industriale e mercantile, il grande mutamento intellettuale, l’avvento definitivo delle ore uguali tra loro, determinate in rapporto a un tempo universale, ritmate da un orologio meccanico che viene a sostituire le campane della chiesa. Il tempo laico, cittadino, regionale, che si accorda col movimento degli astri, è nato probabilmente sotto l’influenza del mercante, e non è un caso che i primi orologi moderni abbiano ornato più le torri delle città che i campanili delle chiese.
L’invenzione dell’orologio meccanico a scappamento avviene attorno al 1300, a coronamento di una serie di tentativi. Attratti dall’idea di creare un orologio azionato dalla forza di caduta di un corpo pesante, ben presto i tecnici interessati a questo tema si rendono conto del fatto che il problema maggiore consiste nell’individuare uno scappamento, cioè un dispositivo attraverso il quale ottenere un’energia constante nel meccanismo del contrappeso. Non era facile ottenere movimenti regolari; un peso in caduta aumenta infatti la sua velocità, e quindi l’orologio tendeva a camminare sempre più velocemente. Per regolare la caduta del peso viene introdotto un apposito dispositivo frenante, lo scappamento a verga con un particolare bilanciere, detto foliot, dispositivo fondamentale in tutti gli orologi meccanici dell’epoca. Questa geniale invenzione permette di trasmettere, rallentandolo e mantenendolo regolare, il movimento di caduta del contrappeso all’asse che poi avrebbe azionato i treni di ruote dentate in connessione.
L’idea di misurare lo scorrere del tempo attraverso un prodotto della tecnologia affonda le sue radici in un’epoca in cui gli uomini avevano cominciato a sviluppare una mentalità meccanica, ben testimoniata dall’evoluzione del mulino.
Nel corso del Trecento gli orologi meccanici vengono collocati nelle cattedrali, nelle chiese, e principalmente sulle torri civiche. Nella chiesa di sant’Eustorgio, a Milano, nel 1309 venne installato un orologio meccanico in ferro; orologi meccanici sono collocati a Genova, Firenze, Bologna, Strasburgo, Chartres, Norimberga, Friburgo, Ferrara, Valenciennes, Breslavia e Westminster tra il 1340 e il 1380. Lo sviluppo dell’orologeria mette in luce l’abilità dei costruttori, spesso fabbri fonditori di cannoni particolarmente ricercati in tutta Europa per la perizia dimostrata nel disegnare e costruire ingranaggi.
Col divenire del tempo appaiono sulle torri comunali e sui campanili delle chiese complicatissimi orologi in cui l’indicazione dell’ora si accompagna al movimento di dispositivi che indicano le rivoluzioni degli astri, mentre angeli, santi e re magi appaiono al cospetto della
Fino alla metà del Quattrocento gli orologi privati saranno una rarità, complicati, costosi e difficili da gestire. Nel Trecento e per buona parte del Quattrocento ben pochi tra i privati possono permettersi di acquistare un orologio del genere.
La più importante novità legata alla comparsa dell’orologio è l’affermazione del concetto dell’uguale durata delle ore, con una valutazione del tempo indipendente dal mutare delle stagioni. L’orologio meccanico trasforma le idee dell’uomo sul tempo, non più percepito come un intervallo tra eventi diversi, ma come un fluire continuo, indipendente da qualunque situazione e matematicamente misurabile. La tecnica allontana l’uomo dalla natura, relegandola in secondo piano, ed è così che l’orologio diverrà uno dei simboli della visione meccanicistica dell’universo e della vita.
Ricerca a cura di Mariano Ahumada
Fonti
- “La vita quotidiana nel medioevo” – di Rovert Delort. Editori Laterza 1989
- “Il medioevo – Castelli, Mercanti, Poeti” – a cura di Umberto Eco. Encyclomedia Publishers s.r.l., Milano 2011
- Wikipedia: Très riches heures du Duc de Berry
- Web Gallery of Art